Non è certo una gran scoperta sostenere che il cinema abbia un debito nei confronti della letteratura. Dopotutto l’invenzione dei fratelli Louis e Auguste Lumière nasce come mezzo ibrido, un insieme di tecnica e arte in continuo fermento, un creatura pulsante, affamata d’innovazioni e desiderosa di crescere. Come il famoso treno alla stazione di La Ciotat, il cinema non ha mai smesso di correre, adattandosi ai cambiamenti di ogni epoca, all’insorgere di nuove realtà e forme d’intrattenimento finendo spesso per plasmarle. Sin dalle origini, il medium videoludico ha mostrato un forte legame con la settima arte. Un percorso breve, ma intenso, segnato da continui progressi e curiosi avvicendamenti. Numerose le pellicole ispirate a videogiochi ― da Super Mario Bros. (1993) a Mortal Kombat (2021) ―, così come i film che hanno contaminato una delle industrie più floride di sempre. Il recente successo di videogames quali Death Stranding e Alan Wake 2 sembra testimoniare ancora una volta il sottilissimo confine che separa le due arti. Un filo virtuale diventato ormai quasi invisibile. La nascita di nuovi generi, unita alla costante ibridazione di formati differenti, porta così al sorgere di una domanda spontanea: le strade di cinema e LitRPG si sono mai incontrate? Per quanto possa sembrare bizzarro, la risposta è affermativa. Il caso più emblematico è certamente quello di Ready Player One (2018), omonima trasposizione del romanzo scritto nel 2011 da Ernest Cline. Spesso considerato un inconsapevole precursore del genere litRPG, il testo da cui Steven Spielberg ha tratto l’ennesimo successo commerciale fonde i tradizionali elementi narrativi del genere fantasy e fantascientifico con le strutture e le meccaniche dei giochi di ruolo, specie degli MMORPG. Per quanto poco frequenti, gli esempi di questo straordinario contatto artistico sono tuttavia molteplici. Una delle pellicole a incarnare maggiormente lo spirito dei romanzi litRPG è certamente Free Guy – Eroe per gioco (2021). Il film diretto da Shawn Levy e interpretato Ryan Reynolds racconta con furbizia la storia di Guy (letteralmente Tizio), un tizio qualunque appunto che lavora in una banca di Free City e vive ogni giorno esattamente come il precedente, poiché inconsapevole del suo status di NPC (personaggio non giocante) all’interno di un videogioco. A metà strada tra una partita di Fortnite e Grand Theft Auto, il film restituisce alla perfezione le dinamiche e i vibes di un videogioco online, puntando forte sul dinamismo, il citazionismo e il senso di progressione insito nei litRPG. Nel 2010 tocca invece a un’opera ormai diventata cult abbattere le barriere tra i media. Stiamo parlando di Scott Pilgrim vs. the World, pellicola crossmediale diretta dal talentuoso Edgar Wright. Tratto dalla serie a fumetti Scott Pilgrim di Bryan Lee O’Malley, il film è un perfetto esempio di meta-narrazione, capace di unire l’estetica e le meccaniche dei videogiochi a 16-bit col mondo dei manga, senza mai trascurare lo spettatore. Altro esempio da non scordare è Gamer (2009). Diretto da Mark Neveldine e Brian Taylor, il film interpretato da Gerald Butler non è che un’adrenalinica critica alla degenerazione dei nuovi media, un esperimento parzialmente riuscito di cosa significhi controllare un personaggio, mettere in pausa l’avventura, e progredire di livello. A metà degli anni ’90 esce nelle sale cinematografiche Pagemaster – L’avventura meravigliosa (1994), una fiaba moderna fortemente influenzata da quel filone fantasy particolarmente in voga negli anni ’80, basti pensare a pellicole come The Dark Crystal (1982), The NeverEnding Story – La Storia Infinita (1984), Labyrinth – Dove tutto è possibile (1986) e Willow (1988). Nonostante lo scarso successo di pubblico e critica, il film diretto da Joe Johnston e Pixote Hunt (nota anche come Maurice Hunt) è un tassello importante nella cinematografia di chiaro stampo RPG. Una pellicola che fonde animazione e live action concentrandosi sul potere delle storie e il valore terapeutico della lettura. Pagemaster racconta le avventure di Richard Tyler (Macaulay Culkin), un Nerd di dieci anni, pauroso e ossessionato dalle statistiche, che si ritrova catapultato in una realtà da sogno, popolata da maghi, draghi e strane creature parlanti. In questo viaggio a ritroso non possiamo però dimenticare il vero e proprio capostipite di questo genere: Tron (1982). Primo film a impiegare un uso massiccio di CGI, Tron riesce a mantenere nel tempo il fascino di un’estetica unica e originale. Una pellicola che oltre quarant’anni fa osava prevedere il futuro indagando cosa potesse celarsi dietro un software. Nella sua visionaria semplicità, l’opera diretta da Steven Lisberger insegue i topoi classici dei #litRPG raccontando le vicende di un uomo trasportato all’interno di un mondo alieno controllato da Master Control Program (MCP), un sofisticato software di intelligenza artificiale. L’unica strada per la sopravvivenza è comprendere il più rapidamente possibile le dinamiche di questa nuova realtà e superare le sfide presentate dal sistema artificiale.
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