“Dungeon”. Un termine ignorato da molti, ma che i più collegano a un gioco di ruolo (anche se forse sarebbe più corretto chiamarlo “il” gioco di ruolo): Dungeon & Dragons.
Tutti sanno cosa è un drago, ma forse il concetto di dungeon è più criptico, non a caso raramente viene tradotto nel variegato universo degli RPG. Ma cos’è un dungeon? Una prigione sotterranea, un luogo oscuro e confinato, un ambiente ostile creato per mettere alla prova i giocatori durante una campagna di un qualsiasi GDR. La nozione si è talmente logorata nel corso dei secoli da perdere quasi la propria forma. Dungeon in realtà deriva dal francese donjon, per l’appunto "torre interna". La parola dungeon viene usata per la prima volta nel XIV secolo in riferimento a un’area specifica del castello in cui i difensori avrebbero potuto ritirarsi nel caso in cui il nemico fosse riuscito a superare le mura fortificate. Parte di questa torre comprendeva infatti una stanza sotterranea solitamente adibita a prigione. Eppure bisognerà aspettare il 1974, anno di pubblicazione della prima edizione di Dungeon & Dragons per tornare a parlare di dungeon. Da questo momento infatti il termine smette di rappresentare una semplice prigione per fissarsi nella fantasia di ogni giocatore come terreno di magiche avventure, campo di battaglia, e ultimo rifugio dalla realtà. Da spazio circoscritto assume la conformazione di un grigio labirinto, ornato da macabre decorazioni come scheletri, ragnatele e polverosi forzieri. Negli anni ’90, complice l’ascesa del mezzo videoludico, il dungeon diventa sede degli orrori virtuali. Recuperando la torbida reputazione delle segrete medioevali, pregne di disperazione, demoni, fantasmi e strumenti di tortura, i videogames ne espandono la popolarità portando il dungeon direttamente nelle case di chiunque possegga un pc. Da Eye of the Beholder (1991) a Baldur’s Gate 3 (2023), passando per Doom (1993), Diablo (1996), Arx Fatalis (2002), Amnesia: The Dark Descent (2010) e la saga di Dark Souls (2011), una semplice location diventa così architettura portante del sistema di gioco. Era quindi naturale che il claustrofobico fascino dei dungeon infettasse anche il LitRPG, media derivato direttamente da giochi di ruolo e videogames. Il senso di vertigine e mistero che avvolge questo tipo di ambientazione offre un’esperienza esplorativa ben diversa dall’open world. La limitazione di movimento porta infatti a subire in prima persona la progressione, aspetto insito nella stessa narrativa LitRPG. Impossibile a tal proposito non citare la celebre saga di Dungeon Crawler Carl (2020, Matt Dinniman), le serie Divine Dungeon (2016, Dakota Krout) e Dungeon Core Online (2021, Jonathan Smidt), senza contare The Slime Dungeon (2016, Jeffrey “Falcon” Logue), Core of Fear (2021, Jonathan L. Brooks) e in parte Survival Quest (2012, Vasily Mahanenko). I dungeon si possono manifestare sotto forma di miniere, tunnel, grotte, dedali, fogne, rovine, cripte, catacombe... e naturalmente prigioni. Si tratta di luoghi decadenti e spettrali, dove anche l’aspetto estetico riveste funzionalità fondamentali all’interno della narrazione. Se anche voi amate le polverose profondità dei dungeon, col LitRPG avete finalmente trovato quello che da anni stavate cercando. Level Up, che l’avventura abbia inizio.
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